Lo que los caturistas en Venezuela piensan de Chavez
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1. Un personaggio controverso
Il 2 dicembre 2007 Hugo Rafael Chavez Frias, presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, è sconfitto inaspettatamente in un referendum di modifica della Costituzione che gli avrebbe dato la possibilità di governare a vita. Dopo appena un mese egli si rende protagonista di una trattativa con i terroristi delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc), e il 9 gennaio 2008 ottiene la liberazione di due prigioniere colombiane.
Periodicamente la cronaca politica porta in primo piano le sue controverse iniziative — specie dal 3 dicembre 2006, cioè da quando vince per la seconda volta le elezioni alla presidenza del Venezuela —, aventi come obiettivo l’instaurazione di un «nuovo» socialismo.
I suoi progetti sono accolti trionfalmente da chi lo considera simbolo della lotta antimperialista, mentre sono osservati con preoccupazione e subìti dagli Stati Uniti e dai loro alleati occidentali.
Le sue vicende sono indubbiamente legate alla ricchezza venezuelana, il petrolio, risorsa che il presidente sfrutta per rinsaldare i vincoli fra le nazioni sudamericane. La sua alleanza con Fidel Castro Ruiz, presidente della Repubblica di Cuba, con la Corea del Nord, con la Repubblica Islamica dell’Iran di Ahmadi-Nejiad, nonché la presenza in Venezuela di rappresentanti di movimenti rivoluzionari o terroristici come Hezbollah, Hamas e Al Qaida (1), sono percepiti come fattori di instabilità internazionale.
A rendere ancor più minacciosa la sua politica contribuisce l’acquisto di un armamento imponente, mentre la sua stima per il terrorista rosso «Carlos», oggi residente nelle carceri francesi e convertito all’islam, fa nascere dubbi sull’affidabilità delle relazioni diplomatiche con il Paese caraibico.
I suoi rapporti amichevoli con i narcoterroristi colombiani delle Farc, gruppo rivoluzionario marxista-leninista (2), sono stati confermati in occasione della recente trattativa che ha portato alla liberazione delle due prigioniere colombiane Clara Rojas e Consuelo Gonzales. La felicità per il rilascio non può far trascurare le dichiarazioni di stima e di amicizia rese a nome del presidente Chavez, dal suo ministro degli Interni, Amon Rodriguez Chacin, subito dopo la liberazione degli ostaggi: «In nome del Presidente Chavez voglio dirvi che poniamo molta attenzione alla vostra battaglia» e «[…] mantenete alto il vostro spirito e la vostra forza, potete contare su di noi […]. Cautela camaradas» (3).
Non si può trascurare che il gruppo guerrigliero al quale Chavez faceva pervenire la sua gratitudine combatte una guerra da trent’anni contro un paese amico, la Colombia. In questa guerra i terroristi hanno ucciso centinaia di venezuelani e migliaia di colombiani, hanno sequestrato oltre tremila persone, 730 delle quali sono tuttora nelle mani dei guerriglieri e quaranta sono detenute da circa dieci anni. Non si può dimenticare che i capi guerriglieri ricercati in Colombia trovano rifugio in Venezuela, dove hanno stabilito, protetti, una stazione di transito per l’esportazione di centinaia di tonnellate di cocaina all’anno, diretta verso l’Europa e verso gli Stati Uniti d’America, con un valore di mercato di migliaia di milioni di euro all’anno (4). Non si può dimenticare che per Chavez le Farc sono camaradas che combattono la stessa battaglia: «Las FARC y el ELN no son terroristas, son verdaderos Ejércitos y hay que darles reconocimiento […] Son fuerzas insurgentes que tienen un proyecto político y bolivariano que aquí es respetado» (5).
Ma chi è politicamente il colonnello Hugo Rafael Chavez Frias? Come si sposa il suo autoritarismo militare con la causa della sinistra internazionale, di cui oggi si presenta come alfiere? Come si coniugano lo scarso rispetto della democrazia parlamentare e l’accentramento del potere con la causa della giustizia sociale di cui è considerato vessillo?
2. L’avvento al potere del colonnello Hugo Chavez
Nel 1998 Chavez viene eletto presidente del Venezuela, vincendo le elezioni contro il suo avversario Henrique Salas Römer. La sua elezione segna la fine del sistema bipartitico durato quarant’anni, costituito dall’alternarsi dei due partiti, Acción Democrática (Ad), d’ispirazione socialdemocratica, e il Comité de Organización Política Electoral Independiente (Copei), d’ispirazione cristiano-sociale. Ad e Copei si erano alternati alla guida del Venezuela fin dal 1958, anno in cui era stato posta fine alla dittatura militare di Marcos Evangelista Pérez Jiménez (1948-1958).
Potendo trarre vantaggio dall’alto prezzo del petrolio, la giovane democrazia si era prima contraddistinta per una estesa politica assistenzialista e nazionalizzatrice (6) — la Costituzione del 1961 assegnava allo Stato la responsabilità dello sviluppo economico e della politica sociale —, ma la successiva riduzione di valore dell’«oro nero» aveva costretto lo Stato a una politica di privatizzazioni, anche a causa dell’elevato debito estero. Alla fine degli anni 1990 il Venezuela aveva dovuto aderire a una rigida politica monetarista imposta dal Fondo Monetario Internazionale (7), con la conseguente fine della politica di sussidi che aveva caratterizzato il periodo precedente. Le nuove misure liberiste, introdotte dall’allora Presidente Carlos Andrés Pérez, avevano creato enorme malcontento ed erano sfociate il 27 febbraio 1989 in un’aperta ribellione popolare, cui il governo aveva risposto militarmente con una repressione che aveva causato centinaia di morti, evento noto con il nome di «Caracazo» (8).
Proprio per vendicare il Caracazo e per combattere la politica liberista il 4 febbraio 1992 Chavez, alla testa di 480 paracadutisti, diventa protagonista di un colpo di Stato militare che avrebbe dovuto rovesciare il presidente Pérez. Il golpe però fallisce, ma l’appello in televisione con cui il colonnello chiedeva ai suoi compagni di desistere, riscuote enorme popolarità per la schiettezza e per l’onestà nell’assunzione delle responsabilità. Chavez finisce in prigione, ma conquista l’immagine d’icona a cui affidarsi per cambiare un Paese corrotto.
La condanna viene condonata nel 1994 dall’allora Presidente Rafael Cardera: Chavez esce di prigione e costituisce il Movimiento Quinta República (Mvr), con cui fa il suo ingresso in politica. Nel 1998 vince le elezioni con una campagna indirizzata contro il regime del Patto di Punto Fijo (9), di cui denunziava la corruzione e la subordinazione agli interessi delle multinazionali. La vittoria di Chavez rappresenta la fine del sistema costruito intorno ad Ad e Copei, che vengono ritenuti responsabili della povertà radicata nel Paese.
Un anno dopo la vittoria, il 15 dicembre 1999, il Presidente vara una nuova Costituzione: il Paese assume il nome di Repubblica Bolivariana del Venezuela (10), dall’eroe dell’indipendenza nazionale Simón José Antonio de la Santísima Trinidad Bolívar Palacios y Blanco (1783-1830), e si manifesta la natura nazionalista e antimperialista — cioè antiamericana — che avrebbe contraddistinto la nuova strategia politica.
Dal 1999 al 2001 la politica economica della nuova Repubblica si sviluppa nell’alveo dell’economia di mercato, garantendo la concorrenza, l’iniziativa e la proprietà privata (11); dopo il fallito golpe dell’opposizione nell’aprile del 2002 (12) Chavez inizia a modificare l’economia venezuelana in senso statalista, ampliando l’intervento dello Stato non solo come regolatore ma anche in veste di produttore di beni e servizi. Nel 2005 lancia la proposta di costruzione del «Socialismo del XXI secolo» (13).
3. La Rivoluzione Bolivariana, via di uscita dal neoliberalismo e dalla globalizzazione
Fino al 2005 Chavez aveva ritenuto possibile un capitalismo «dal volto umano», una sorta di terza via fra socialismo e capitalismo, ma successivamente si era convinto dell’impossibilità di realizzarlo (14) e la condanna del capitalismo era diventata definitiva e impietosa. La riflessione bolivariana sul capitalismo e sul socialismo, che riporto nel seguito, è tratta da un documento del Centro Internacional Miranda, istituzione legata al Ministero della Educazione, che ha come scopo la promozione e l’approfondimento del modello bolivariano di «democrazia partecipativa e protagonista» (15).
Per il capitalismo tutto è mercanzia e la sua intrinseca perversione sta nel fatto che il valore dei beni è esclusivamente determinato dal loro valore di mercato, dalla legge della offerta e della domanda, senza alcuna considerazione dei fattori umani, sociali e ambientali.
Nel corso del XX secolo si era più volte tentato di superare il capitalismo nella direzione del socialismo ma questi tentativi erano sempre falliti. La rivoluzione sovietica non era stata un’esperienza negativa: «Voglio rendere omaggio a quanto fatto di buono alla umanità dalla Rivoluzione Sovietica; vi estendo il mio rammarico per il modo con cui l’esperienza comunista è terminata. Porgo le mie felicitazioni perché un giorno l’America Latina sarà ciò che la Russia non è potuto essere» (16). L’assenza di partecipazione sociale nell’Unione Sovietica aveva però determinato la creazione di un modello economico basato su un burocratico capitalismo di Stato, nel quale non erano spariti né lo sfruttamento né la divisione del lavoro e, quando l’Unione Sovietica si era disintegrata, i gestori del capitalismo di Stato si erano trasformati in gestori del neoliberalismo (17). Nell’Europa capitalistica la socialdemocrazia aveva dato vita a uno Stato sociale, un sistema in cui lo Stato diveniva imprenditore e nel contempo assumeva il ruolo di garante dei diritti sociali. Ma il Welfare socialdemocratico non era che una finzione per nascondere lo sfruttamento soggiacente strutturalmente al sistema capitalista (18). La socialdemocrazia, sviluppandosi all’interno del sistema capitalistico non poté fare a meno di ripeterne gli errori, continuando lo sfruttamento, partecipando alle lotte neocoloniali o imperialiste e deteriorando la natura (19).
Negli anni 1970 si diffonde il neoliberalismo, gli Stati si piegano agli interessi delle aziende transnazionali, del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e della Banca Mondiale (20). Il Welfare viene smantellato, le decisioni economiche, politiche e giuridiche, che in precedenza venivano prese dagli Stati nazionali, si trasferiscono oltrefrontiera, sotto l’egemonia economica delle grandi imprese internazionali e degli Usa (21). Lo Stato non interviene nel sociale, non controlla i prezzi, non investe in scuole, ospedali, cultura; l’ambiente viene devastato a vantaggio del profitto, i salari vengono congelati, le imposte indirette crescono e quelle dirette diminuiscono specie sulle alte rendite; aumentano i costi di alimenti e di medicine, la televisione e Internet creano false necessità; i servizi e i monopoli di stato vengono privatizzati o dismessi, in Venezuela vengono privatizzati la Pdvsa — la Petroleum de Venezuela SA, la principale impresa nazionale —, gli ospedali, le scuole, le strade, le imprese di elettricità, la somministrazione dell’acqua (22).
Paesi come il Venezuela, il Brasile e l’Uruguay eleggono presidenti di sinistra, l’Europa si mobilita contro la guerra in Iraq, il Foro Social Mundial riunisce il pensiero critico e i movimenti sociali alternativi dei cinque continenti (23). È guerra contro il neoliberalismo statunitense e contro la globalizzazione, ma è anche chiaro che il socialismo del secolo XX non sarà più proponibile (24) e che la Rivoluzione bolivariana dovrà condurre a un società nuova, a una nuova meta per il secolo XXI.
4. Il caudillismo di Norberto Ceresole
Nel definire i contenuti culturali della Rivoluzione bolivariana il presidente Chavez è apparso prima influenzato dalle teorie «caudilliste» di Norberto Rafael Ceresole (1943-2003) (25), quindi dal socialismo di Heinz Dieterich Steffan (26).
Molti analisti — e in particolare i simpatizzanti dell’opposizione venezuelana — percepiscono Chavez come la riproposizione del tradizionale caudillo (cioè «duce» o dittatore) latinoamericano, un presidente che gode di ampio potere legittimato direttamente dal popolo, in un sistema in cui al Parlamento è assegnata una funzione di rappresentanza molto limitata.
L’ispiratore del ruolo di caudillo è il sociologo argentino Norberto Ceresole, scomparso nel 2003. Personaggio controverso, attivista radicale di sinistra nel 1960 in Argentina, consigliere del dittatore peruviano Juan Alvarado, sostenitore della dittatura militare argentina (27) e della sinistra peronista; fautore di un’alleanza con l’Unione Sovietica; accusato di essere neo-fascista e antisemita per le sue teorie negazioniste dell’Olocausto (28).
L’incontro di Cersole con Chavez avviene nel 1994 in Argentina e la sua frequentazione con l’ex-colonnello gli costa l’espulsione dal Venezuela nel 1995 e poi nel 1999 a opera dello stesso Chavez (29) per le polemiche sorte intorno alle sue teorie «negazioniste» (30).
In vario modo egli ha comunque ispirato Chavez, soprattutto nei riguardi dell’abbandono del modello di «democrazia distributiva», che prevedeva deleghe e distribuzione del potere fra i molteplici organi istituzionali. Ha proposto il modello di «post-democrazia» (31), che prevede la concentrazione del potere nelle mani di un presidente eletto direttamente dal popolo e ha ispirato l’importante riforma delle istituzioni militari venezuelane (32).
Chavez ha riconosciuto la sua influenza nel 2006 (33), quando, ricordandone l’amicizia, ha rievocato la proposta dell’argentino di abbandonare l’alleanza con gli Usa per concentrare l’interesse sui legami con i Paesi del Sud America. Ceresole sosteneva che la «democrazia distributiva», nata con l’illuminismo e generata dalle rivoluzioni francese, inglese e americana, non aveva funzionato fuori dall’Occidente e nemmeno nella sua periferia, cui appartiene il Venezuela. In queste aree, la democrazia non ha avuto caratteristiche differenti dalla dittatura e non è stata veramente distributiva (34).
Nell’attuale contesto venezuelano, la democrazia distributiva porterebbe non alla distribuzione del potere ma alla dispersione e conseguentemente alla fine della Rivoluzione bolivariana (35), per difendere la quale è indispensabile che Chavez accentri il potere, ridando vita a un sistema, il caudillismo, che è nelle radici della storia ispanoamericana.
Per Ceresole, i radicali cambiamenti del Venezuela provocheranno inevitabilmente conflitti interni ed esterni; in questo contesto è necessario un rapporto diretto fra il caudillo e il popolo, che consentirà di controllare le reazioni interne. Gli ampi poteri del caudillo non saranno però sufficienti ad affrontare le pressioni internazionali provenienti sopratutto dagli Usa e a tal fine il Venezuela dovrà stimolare la nascita di una rete internazionale di solidarietà, innanzitutto con i Paesi ispanoamericani, quindi coagulare il consenso di personalità autorevoli, partiti politici, organizzazioni culturali e sociali (36).
5. La politica caudillista del presidente Chavez
L’accentramento del potere, il rapporto diretto con il popolo, l’esercito utilizzato nelle funzioni civili, la strategia di appoggio internazionale, sono gli elementi del pensiero di Ceresole che si ritrovano nella politica del Presidente Chavez.
5.1 Il potere di Chavez
Chavez demonizza la democrazia rappresentativa e propone di sostituirla con una democrazia «partecipativa e protagonista», dove però l’unico vero protagonista è il Capo che interpreta la volontà comune; i cittadini sono chiamati al sostegno della rivoluzione senza possibilità di agire in autonomia, in quanto hanno perduto il loro potere di delega (37). Ogni decisione, ogni programma è di Chavez, testimonial di un’autopromozione permanente. La magistratura è sotto il suo controllo, i principali uffici pubblici sono affidati a uomini di sua fiducia, gli Stati federali vengono svuotati delle loro competenze, accentrate nello Stato, l’Assemblea Nazionale è controllata dal suo partito, il potere legislativo è stato assegnato al presidente dall’Assemblea Nazionale fino al 2008, il partito unico chavista potrebbe assorbire tutte le forze che appoggiano il presidente (38).
5.2 Militarizzazione del potere
Chavez crede profondamente nell’etica militare e nella funzione sociale delle forze armate: sono migliaia gli ufficiali da lui assegnati a dirigere uffici civili. La Costituzione del 1999 ha posto le basi per il coinvolgimento dei militari nell’ordine pubblico e nello sviluppo civile nazionale, e ha soppresso il diritto dell’Assemblea Nazionale di approvare le promozioni delegandone il compito al presidente.
I militari sono coinvolti nei programmi governativi infrastrutturali, di sostegno sanitario, di distribuzione degli alimenti, nelle campagne contro l’analfabetismo e la disoccupazione; inoltre, occupano alte cariche ministeriali e amministrative, per esempio all’interno della Petroleos de Venezuela, nella Citgo Petroleum Corporation — la filiale americana dell’azienda petrolifera venezuelana —, nella polizia, negli uffici delle imposte, nella dogana, nel Tribunale Supremo di Giustizia (39). Temendo un possibile golpe, il presidente si è preoccupato di armare milizie paramilitari a lui devote, con compiti sociali e di difesa del territorio, e ha dato vita a organizzazioni «bolivariane» costituite da civili che espletano funzioni militari, in buona parte dotati di armi. Nel 2003 il governo ha creato il Frente Francisco de Miranda, una forza indottrinata e politicamente impegnata, con 10.000 membri distribuiti nei 24 Stati, che vengono addestrati e indottrinati a Cuba e i cui leader sono designati direttamente da Chavez (40).
5.3 La strategia di consenso internazionale
La rete di appoggio internazionale, suggerita da Ceresole, è evidente in Italia, dove la strategia di consenso miete successi. Rifondazione Comunista partecipa a un gruppo di lavoro per la costruzione del «Socialismo del XXI secolo» e anche il Partito dei Comunisti Italiani è convinto sostenitore del presidente venezuelano.
Mobilitati intorno a Chavez ci sono i circoli bolivariani italiani che hanno dato vita al Coordinamento Nazionale Bolivariano per appoggiare la lotta dei popoli latinoamericani, numerosi sono le associazioni, i comitati, i siti e le riviste vicine alla coppia Chavez-Castro (41).
Fra le personalità che appoggiano più vistosamente Chavez ci sono personaggi politici e intellettuali, dagli ex-deputati Franco Giordano (42) e Ramon Mantovani di Rifondazione Comunista agli ex-onorevoli Oliviero Diliberto e Iacopo Venier del Partito dei Comunisti Italiani, dal filosofo Gianni Vattimo ai giornalisti Luciana Castellina e Fulvio Grimaldi.
A destra, non disdegnano Chavez Salvatore Santangelo e Tiberio Graziani (Eurasia), attratti dalla mobilitazione popolare, dai temi della giustizia sociale e dalla politica antiamericana; la Destra Sociale e la rivista Area di Marcello De Angelis non sembrano aver sciolto le riserve, condividono le critiche alla globalizzazione ma temono il rischio di deriva castrista (43).
Nella regione ispanoamericana il presidente venezuelano influenza le alleanze attingendo alla sua rendita energetica: presta 2,5 miliardi di dollari all’Argentina, 1,5 miliardi alla Bolivia, 500 milioni all’Ecuador e 2 miliardi a Cuba. È un match impari, perché il Fondo Monetario Internazionale presta solo 50 milioni di dollari annui all’America Latina, l’1% del totale contro l’80% del 2005; gli Usa investono nella regione 1,6 miliardi di dollari, una goccia d’acqua rispetto all’oceano di petroldollari impiegati dal chavismo per costruire la rete d’appoggio nell’Ispanoamerica (44).
Il risultato maggiore è l’asse Cuba-Venezuela, che si ramifica in Bolivia, Ecuador e Nicaragua per via delle affinità ideologiche e degl’interessi sugli idrocarburi. Da Fidel Castro è nata l’idea di estendere l’alleanza Cuba-Venezuela creando Alba, l’Alternativa Bolivariana per l’America Latina, asse economico e geopolitico cui hanno aderito Bolivia e Nicaragua, mentre il presidente ecuadoregno, Rafael Vicente Correa Delgado, ha annunciato la sua intenzione di aderire, ma prima dovrà risolvere il problema di un Congresso in maggioranza a lui ostile (45).
Buone relazioni sono evidenti anche con l’Argentina neoperonista, debitrice di Chavez per l’acquisto di importanti quote di buoni del Tesoro; sono seguaci di Chavez anche Paraguay, sebbene orientato politicamente a destra, Uruguay, Haiti e Giamaica, più o meno sensibili agli aiuti petroliferi venezuelani. Cile, Perù, Honduras, Costa Rica, Panama e Repubblica Domenicana mantengono distanze piuttosto ampie dall’asse Venezuela-Cuba. Sul fronte opposto, legati agli Stati Uniti restano Colombia ed El Salvador e in qualche modo anche il Messico. Il Brasile, che è la superpotenza regionale, mantiene buoni rapporti con tutti, osservando dall’esterno gli allineamenti regionali intorno al Venezuela (46).
Il vincolo con Ahmadi-Nejiad si sostiene sul comune sentimento anti-imperialista, sulla dichiarata fratellanza tra i due popoli (47). Ma c’è qualcosa di più e di più profondo se il Paese asiatico è divenuto il secondo partner commerciale del Venezuela, non a caso preceduto solo da Cuba, con cui i legami sono di natura preminentemente ideologica.
Il presidente iraniano non ha mai tenuto nascosto il suo feroce negazionismo e il suo anti-semitismo (48); inoltre, le sue minacce di cancellare dalla mappa del mondo Israele e il suo disinteresse nel mantenere rapporti con questo Paese hanno colpito fortemente l’opinione pubblica mondiale. D’altra parte il negazionismo di Ceresole si era tradotto nel rapporto stretto che l’ideologo argentino aveva intessuto con il fondamentalismo islamico, con il governo dell’Iran e con il movimento armato degli Hezbollah (49) e l’interesse è certamente stato ricambiato, se i suoi scritti sono stati tradotti in arabo e in persiano (50). Tutto questo ha certamente giocato un ruolo determinante nell’orientare il presidente venezuelano verso la Repubblica Islamica dell’Iran e verso la sua ideologia.
In conclusione, Chavez fa suoi i suggerimenti di Ceresole, sia in politica interna che in politica estera, interpreta la funzione di caudillo, ma con un ruolo politico che è lo stesso presidente a chiarire: «La funzione del Caudillo in certe epoche storiche è quello di mobilizzatore di masse, di rappresentante di una massa con cui si identifica: una funzione che la massa gli riconosce senza che ci sia un procedimento formale, legale o di legittimazione. [...] Se una persona così dedicasse la vita, dedicasse i suoi sforzi a collettivizzare, servendosi del suo potere “mitico” [...]: se si verificasse tutto questo, allora io giustificherei la presenza di un caudillo» (51).
Il caudillismo di Chavez è cioè intimamente associato alla sua aspirazione alla collettivizzazione: «Il capitalismo va superato avanzando verso il socialismo [...]. Io sono un rivoluzionario tutti i giorni più rivoluzionario, perchè mi convinco sempre più che l’unico modo per rompere l’egemonia capitalista, per rompere l’egemonia delle oligarchie della terra è attraverso la rivoluzione, non c’è altra strada» (52). Con queste parole Chavez, il 30 gennaio 2005, nel corso del World Social Forum di Porto Alegre, in Brasile, ha lanciato la nuova strategia di superamento del capitalismo e di costruzione di un nuovo tipo di socialismo.
6. Il Socialismo del XXI Secolo
Il 10 gennaio 2007, Chavez giura di dedicare la propria vita alla costruzione del socialismo: «Giuro davanti a questa meravigliosa Costituzione [...]. Giuro in nome di Dio [...]. Giuro sui martiri e sul nostor Libertador [...] sulla nostra Patria [...] che non mi stancherò e dedicherò la vita intera alla costruzione del nostro Socialismo» (53).
Già nel 2006 aveva chiarito la meta della Rivoluzione bolivariana: «Abbiamo assunto l’impegno di dirigere la Revolución Bolivariana verso il socialismo e di contribuire al percorso verso il Socialismo del secolo XXI che si basa sulla solidarietà, sulla fraternità, sull’amore, sulla libertà e sulla eguaglianza» (54).
Il «Socialismo del XXI secolo» è un concetto espresso nel 1996 dal sociologo tedesco residente in Messico Heinz Dieterich Steffan (55), oggi principale consulente del presidente Chávez (56). Dieterich apprezza Karl Marx, ma sostituisce la dialettica e la dittatura del proletariato con la democrazia partecipativa e diretta, così avvicinandosi al socialismo libertario. Il socialismo di Marx non è considerato realizzabile perché si regge su una ideologia dogmatica e statica (57); nello stesso tempo l’ideologo condanna la legge della domanda e dell’offerta da cui originano le ingiustizie capitalistiche a cui il socialismo deve porre rimedio. Il nuovo socialismo si baserà sul modello della «economia delle equivalenze», la cui caratteristica risiede nella definizione del prezzo: il valore economico del prodotto dovrà tener conto esclusivamente del tempo impiegato per la sua realizzazione; l’incidenza del luogo di produzione e la qualità dei suoi progettisti influenzeranno il prezzo solo in misura corrispondente al tempo di lavorazione, spariranno le disuguaglianze in azienda e i benefici connessi, e si genererà una economia esente da ingiustizie sociali e dallo sfruttamento. L’impresa capitalista sarà sostituita dalle Imprese di Produzione Sociale (Eps), i cui piani imprenditoriali dovranno essere condivisi con la comunità in modo che la produzione sia socialmente utile e rispondente alle necessità del territorio (58). Alle Eps Chavez ha fatto riferimento per la prima volta nel 2005: «Le “Imprese di Produzione Sociale” sono quelle entità economiche dedicate alla produzione di beni e servizi, nelle quali il lavoro ha significato proprio, non alienato, autentico, nelle quali non esiste discriminazione sociale nel lavoro e in nessun tipo di lavoro, non esistono privilegi associati alla posizione gerarchica. Sono quelle entità economiche con eguaglianza sostanziale tra i suoi componenti, basate sulla pianificazione partecipativa e protagonista, sia sotto il regime della proprietà statale, della proprietà collettiva o la combinazione di entrambe» (59). Le Eps devono riprogettare obbligatoriamente il destino degli eccedenti per il superamento del capitalismo, riservandone una parte ai programmi di sviluppo sociale del territorio circostante. Chavez sostiene che la produzione non può essere destinata completamente al mercato, almeno una parte dev’essere distribuita gratuitamente, la restante può essere venduta, ma senza l’uso del denaro, che è tipico del mondo capitalista, piuttosto attraverso il baratto.
Il baratto potrà divenire una forma di scambio commerciale che consentirà di arrivare al consumatore senza passare dai circuiti commerciali capitalisti che introducono profitti speculativi; esso potrà risultare una forma molto lesiva per il capitalismo (60), e il presidente ne promuove la diffusione proponendo l’utilizzo di una moneta alternativa a carattere locale, cioè utilizzabile solo in un determinato territorio, senza alcun valore di scambio al di fuori di esso: «Con questa moneta non puoi andare in un’altra città a comprare una birra. Devi spenderla nel tuo villaggio, nella tua comunità. Tu porti le tue banane e prendi due polli o del caffè. Non devi fare profitto o diventare ricco. Questo baratto è ciò che noi chiamiamo Socialismo» (61). Risparmio e accumulo di capitali saranno impossibili in quanto la moneta di scambio va spesa entro un anno e si è forzati a consumarla nell’area di residenza. Le Eps devono poi superare le differenze gerarchiche interne all’azienda che sono determinate dalla concezione capitalistica della organizzazione sociale; nel socialismo, tutti gli esseri umani sono uguali in dignità e diritti e questi privilegi non sono giustificati. La diffusa partecipazione popolare e un attento controllo democratico garantiranno il corretto comportamento delle imprese socialiste. La Costituzione varata nel 1999, secondo Chavez, ha avviato la cosiddetta democrazia partecipativa, che delega al popolo funzioni precedentemente attribuite ai suoi rappresentanti. Attraverso un esteso uso dei referendum i cittadini approvano o aboliscono leggi, revocano il mandato a qualsiasi funzionario statale e anche al presidente della Repubblica. I cittadini possono controllare i progetti territoriali, l’operato del sindaco, del governatore e dell’esecutivo nazionale. I fondi con cui queste attività sono finanziate vengono però gestite direttamente dalla presidenza.
7. Il caudillismo socialista del Presidente Chavez
Caudillismo e socialismo del XXI secolo s’intrecciano indissolubilmente nell’accentrare il controllo economico, sociale e politico-istituzionale dell’intero Paese nelle mani del presidente Chavez.
7.1 Occupazione del potere economico
Il petrolio è lo strumento-chiave della geopolitica chavista, una fonte d’inestimabile ricchezza su cui egli radica ogni sua strategia di potere (62). La crescita del prezzo del petrolio sembra inarrestabile: nel 2000 era quotato 9 dollari al barile, raggiungeva quota 40 nel 2003, oggi vale circa 90 dollari al barile. In otto anni Chavez ha avuto a disposizione oltre 200 miliardi di dollari (63), una quantità enorme di denaro con cui avrebbe potuto trasformare radicalmente il paese caraibico. Forte di questa disponibilità, ha raddoppiato la spesa pubblica — cresciuta dal 20% del prodotto interno lordo del 1998 al 35% nel 2006 —, quindi ha duplicato il debito pubblico dai 21miliardi di dollari del 1998 ai 45 miliardi attuali, senza incidere sulla povertà.
Ha sviluppato invece una politica statalista costruita su una struttura composta da cinque blocchi fondamentali (64). Al centro di questo sistema c’è la Pdvsa, la compagnia nazionale petrolifera privatizzata negli anni 1990 dall’allora presidente Carlos Andrés Pérez e nazionalizzata da Chavez nel 2002 (65). Il ruolo della Pdvsa — da cui il Paese trae l’80% delle sue entrate — viene ridefinito in modo da farne il cardine dello sviluppo della politica economica e sociale (66). Il secondo blocco è costituito dalla Corporacion Venezolana de Guyana (Cvg) e da imprese manifatturiere il cui ambito abbraccia la produzione dell’alluminio, del ferro, la fabbricazione di case, la gestione di boschi. Il terzo componente è rappresentato dalla catena statale di commercializzazione dei prodotti alimentari Mercal, che alla fine del 2006 contava circa 13.000 stabilimenti con una quota di mercato superiore al 15%. Il quarto elemento è costituito dalla rete di impianti televisivi e radiofonici fra i quali la Venezolana de Television, Vive Tv, Antv, Teves, Telesur e Radio Nacional de Venezuela (67). Il quinto settore è quello finanziario, costituito dalle principali banche del Paese (68).
Ma il quadro dell’espansione dello Stato è in continua evoluzione e sta coinvolgendo imprese del turismo come Venetur, catene di hotel e compagnie di trasporto interurbano (69). Con l’occupazione dell’economia cresce la corruzione. Chavez gestisce buona parte dei proventi petroliferi attraverso strumenti finanziari appositamente creati, non soggetti a controlli finanziari seri e con una rendicontazione finanziaria molto limitata. Il 95% dei contratti pubblici è assegnato senza gared’appalto, gli scandali della pubblica amministrazione trovano quotidiano spazio nei giornali nazionali, ne sono coinvolte le istituzioni locali e quelle centrali, i politici e i burocrati, i militari e la magistratura; la presenza sui giornali dura poco perchè ogni scandalo dopo un po’ lascia il posto a quello più nuovo e non c’è mai un colpevole (70). Sono in molti a sostenere che questa politica economica, radicata nella espansione della spesa pubblica e non sulla crescita e lo sviluppo, sarà in grado di sostenersi finché il prezzo del petrolio rimarrà alto, perlomeno superiore ai 50 dollari al barile; se dovesse iniziare la discesa verso questa soglia, si potrebbero attendere fenomeni d’instabilità politica con esiti tutt’altro che prevedibili (71).
7.2 Occupazione dei mezzi di comunicazione
Con la Ley de Responsabilidad Social en Radio y Televisión, del 2004, si è di fatto avviata una operazione di controllo delle emittenti radio-televisive, imponendo l’autocensura ai media contrari al governo, con la minaccia di multe e di chiusura dei canali (72). Il 28 dicembre 2006 Chavez annuncia la chiusura del canale televisivo Rctv (Radio Caracas Televisión), con motivazioni di natura amministrativa (73) e con l’esplicita accusa di essere a favore dell’opposizione; il 27 maggio 2007 la Rctv, la televisione venezuelana più seguita, la Tv delle telenovelas, smette di trasmettere dopo 53 anni di attività. A nulla sono valse le proteste, in particolare quelle dei giovani universitari che hanno commosso il mondo e sono state represse con l’intervento dei militari. Ora rischia anche Globovision, l’ultima Tv non allineata, il canale di sole notizie colpevole di aver mostrato le manifestazioni, gli incidenti, le proteste degli studenti; il presidente l’ha esplicitamente minacciata, ma il direttore della Tv, Alberto Ravell, ha fatto sapere di essere disposto a «morire con gli stivali ai piedi» (74).
7.3 Occupazione delle istituzioni
Sotto la maschera di una falsa democrazia partecipativa Chavez ha progressivamente indebolito i delicati meccanismi di equilibrio del potere che avrebbero dovuto garantire le autonomie istituzionali. La Costituzione del 1999 ha infatti rafforzato il centralismo, accrescendo i poteri dell’Assemblea Nazionale e della Presidenza: l’Assemblea Nazionale oggi legifera sui Consigli Federali e sulle tasse, in precedenza prerogativa federale; il presidente federale resta in carica sei anni invece di cinque, può essere rieletto e legiferare direttamente sui diritti dei cittadini e su un’ampia area sociale senza essere soggetto al controllo costituzionale del Tribunale Supremo di Giustizia (75). Vengono limitate le competenze dei sindaci e degli Stati federali, considerate istituzioni caratteristiche della democrazia rappresentativa, alle quali viene diminuita la copertura finanziaria (76). Gli incarichi giudiziari e quelli del Consiglio Elettorale, il Controllore Generale e il Difensore Civico, in teoria garanti istituzionali, sono politicamente controllabili. La Reserva Nacional e la Guardia Territorial sono sotto il diretto comando di Chavez, che peraltro ha dato vita a strutture militari parallele al fine d’intimidire l’opposizione (77). Se il referendum del dicembre 2007 avesse dato ragione a Chavez, il Venezuela sarebbe divenuto un Paese socialista per via costituzionale, cioè in una forma non più modificabile per via di elezioni democratiche. Si sarebbero introdotte limitazioni al diritto di proprietà e iniziativa privata, sarebbe cresciuto il controllo dello Stato sulla magistratura, sulla Banca centrale, sugli Stati federali e sulle municipalità, le forze armate sarebbero state utilizzate per il mantenimento dell’ordine e per la difesa dai «nemici interni», perdendo la funzione di super partes che le caratterizza, si sarebbe introdotta la militarizzazione di un largo settore della popolazione per mezzo dell’incorporazione nella milizia nazionale (78). La proposta di Chavez è stata bocciata, ma il presidente ha lasciato intendere di voler proporre un nuovo referendum (79).
8. La situazione del Paese secondo i vescovi venezuelani
Nel luglio 2007, quando Chavez era solo da qualche mese presidente del Venezuela, la Conferenza Episcopale Venezuelana (Cev) ha criticato ogni aspetto della situazione del Paese in una esortazione pastorale approvata nel corso della loro LXXXVIII Assemblea Plenaria (80). Chavez ha appena annunciato la sua idea di modifica della Costituzione, i vescovi lo accusano di voler imporre un sistema socialista fondato nella teoria e prassi del marxismo-leninismo; Chavez propone la chiusura del canale televisivo Rctv, i vescovi denunciano la pretesa indebita egemonia in materia di comunicazione sociale, esprimono il loro appoggio alla protesta degli studenti per il diritto alla libertà di espressione, di opinione e d’informazione; sopratutto criticano le misure populistiche adottate dal presidente per fronteggiare il disagio sociale e l’assenza di soluzioni strutturali, nonostante gli ingenti introiti petroliferi.
I vescovi stigmatizzano la mancata soluzione dei problemi sociali, la povertà, la disoccupazione, la mancanza di abitazioni, la carenza di ospedali, le deficienze del servizio pubblico, la corruzione, i bambini in strada, gli anziani abbandonati; sottolineano il gravissimo problema della violenza, i delitti contro la vita e la proprietà, gli assassini, i sequestri, le estorsioni, il narcotraffico, il lavaggio del denaro sporco. Esprimono grave preoccupazione per il progetto di Legge sull’Educazione, soprattutto per la pretesa d’impartire una educazione con un orientamento politico e ideologico che lede gravemente i diritti e i doveri di educandi e genitori. Accusano l’arroganza del potere, le discriminazioni politiche, ideologiche giunte fino alla stesura di liste di esclusione dal lavoro per quanti hanno manifestato il proprio dissenso. Condannano il linguaggio offensivo e irrispettoso del presidente, l’insulto, l’aggressione verbale di persone e istituzioni.
La Cev, in sintonia con la posizione espressa da Papa Benedetto XVI in occasione della inaugurazione della V Conferenza dell’Episcopato Latino-americano e del Caribe, critica le ideologie liberali quando non rispettano l’equità, parimenti condanna il socialismo statalista che impedisce il primato della persona e della solidarietà. A una società più giusta non si perviene con il capitalismo selvaggio, ma nemmeno con il socialismo marxista.
Nell’estate 2007 Chavez offende i fedeli cattolici sostituendo, all’ingresso dell’Ospedale di Maracaibo, la statua della Vergine di Coromoto (81) con il busto di Ernesto «Che» Guevara e intitola l’Ospedale al guerrigliero comunista (82); i vescovi affidano alla Vergine il Paese chiedendole di accogliere le aspirazioni a un futuro più umano e più cristiano. Nell’autunno 2007 gli universitari venezuelani lanciano il trionfale attacco alla proposta di modifica della Costituzione: il Paese li segue, i vescovi sono loro accanto (83); Chavez viene battuto nel referendum di dicembre. Una spina nel fianco del governo, una presenza consapevole, quella dei vescovi, di cui il Presidente deve tener conto a ogni sua mossa.
9. Conclusioni: l’autocrazia al potere
Con la Rivoluzione bolivariana Chavez intende affrancare l’economia venezuelana dal neoliberismo e dalla dipendenza dalle imprese transazionali e ridare autonomia decisionale al potere politico nazionale. Il processo avviato corre però il rischio di trovare contrasti all’interno e all’esterno del Venezuela. Per evitare questi pericoli la strategia caudillista suggerisce di concentrare il potere nelle sole mani del presidente che può efficacemente controllare la reazione interna; per fronteggiare i prevedibili attacchi dei nemici esterni si cerca di stringere accordi con i paesi sudamericani e di stimolare una campagna di appoggio internazionale.
Lungi dall’essere in contrasto, caudillismo e socialismo s’intrecciano indissolubilmente. Il socialismo del XXI secolo, a differenza del comunismo sovietico, non si svilupperà nell’alveo della dittatura del proletariato, la sua purezza sarà garantita da una esteso controllo e coinvolgimento popolare. A differenza della socialdemocrazia, consentirà di uscire dal capitalismo, abbandonando la logica della offerta e della domanda, e rispondendo alle esigenze della società, della ecologia, dei lavoratori. Il nuovo socialismo produrrà una società giusta in cui non vi sarà posto per la povertà.
Come fa notare Annibal Romero (84), dal 1977 professore di Scienze Politiche presso l’Università Simon Bolivar di Caracas, quindi licenziato nel dicembre 2004, i contenuti del nuovo socialismo sono superficiali e mancano di una costruzione teorica credibile, si ritorna a una concezione arcaica della società con scambi economici primitivi; è un’aspirazione utopistica alla emancipazione della classe dei lavoratori, la cui irrilevanza dottrinale evidenzia piuttosto il fine mitico, la costruzione della società giusta cioè socialista, alla quale è chiamato a partecipare il popolo, un mito che assolve alla funzione di mobilitazione e di motivazione al combattimento.
Il mito svolge anche una funzione di rilevanza internazionale, s’inserisce nel quadro del predominio mondiale della cultura politica di sinistra, coltivando la resurrezione permanente della utopia socialista che distrugge gl’incentivi produttivi e condanna la società all’oppressione e alla povertà. La rilevanza del Socialismo del XXI secolo è quindi politica, diventa lo strumento attraverso il quale il Caudillo-Presidente estende il suo controllo diretto alla vita economica e sociale del Paese. Nonostante la sua miseria teorica, il mito politico è significativo, non potrà essere smontato con argomenti razionali: le masse popolari dovranno soffrire nella propria carne il naufragio del progetto prima di abbandonarlo definitivamente
(85).
Note
(1) Cfr. Il patriarca e il parà, in Limes. Rivista italiana di geopolitica, n. 2, 20-4-2007, pp. 7-24 (p. 8).
(2) Sulle Farc, cfr. Gustavo Coronel, Carta al amigo de Marulanda, in
(3) Reportaje: La conexión venezolana. El narcosantuario de las FARC, in
(4) Cfr.
(5) Chávez elogia a las FARC y al ELN y dice que no son terroristas (video), in
(6) Cfr. Venezuela. La Revolucion de Hugo Chavez, in Informe sobre América Latina, n. 9, 22-2-2008, p. 3, in
(7) Cfr. ibid., p. 4.
(8) Il termine «Caracazo» è formato dal nome della capitale venezuelana Caracas, più il suffisso «-azo», che in spagnolo implica il significato di «colpo» e di «grandezza» (per esempio: da «mano» viene «manotazo», «manata»): si può quindi tradurre all’incirca come «il colpo o lo sconvolgente evento di Caracas» o «il terremoto di Caracas»; cfr. ibidem.
(9) Punto Fijo era il nome del quartiere di Caracas dove era sita la casa di Rafael Caldera e dove fu stretto il patto fra i tre maggiori partiti politici del Venezuela: Acción Democrática, Copei e Unión Republicana Democrática, nel 1958. Il patto impegnava le tre forze politiche a dar origine a un sistema elettorale con competizione di tipo bipartitico (sistema detto del «puntofijismo»).
(10) Cfr. Venezuela. La Révolucion de Hugo Chavez, cit., p. 5.
(11) Cfr. Josè Guerra, Capitalismo in salsa socialista, in Limes. Rivista italiana di geopolitica, n. cit., p. 161.
(12) Cfr. Venezuela. La Révolucion de Hugo Chavez, cit., p. 8.
(13) J. Guerra, art. cit., p. 159.
(14) Cfr. Miguel Lozano, Socialismo a la Venezolana, adios a la tercera via, in
(15) Haiman El Troudi e Juan Carlos Monedero, Empresas de Producción Social. Instrumento para el Socialismo del Siglo XXI, in
(16) Norman Gall, Petroleo y Democracia en Venezuela, in Braudel Papers. Documento del Instituto Fernand Braudel de Economía Mundial, n. 3, 2006, p. 4, in
(17) Cfr. H. El Troudi e J. C. Monedero, art. cit., p. 48.
(18) Cfr. ibid., p. 79.
(19) Cfr. ibid., p. 48. (20) Cfr. ibid., p. 4, nota.
(21) Cfr. ibid., p. 40. (22) Cfr. ibid., p. 42. (23) Cfr. ibid., p. 41.
(24) Cfr. ibidem.
(25) Cfr.
(26) Cfr.
(27) Venezuela. La Révolucion de Hugo Chavez, cit., p. 34, nota.
(28) Cfr.
(29) Cfr. Venezuela. La Révolucion de Hugo Chavez, cit., p. 34.
(30) Cfr. Norberto Ceresole, Caudillo, ejército, pueblo. La Venezuela del presidente Chávez, in
(31) Cfr. ibidem.
(32) Cfr. Ceresole responde a Garrido. Réplica solicitada a El Universal por la entrevista publicada el día 5 de marzo, intervista al quotidiano «El Universal» di Caracas, in
(33) Cfr. Aló Presidente. Sitio oficial del programa dominical del presidente de la Republica Bolivariana de Venezuela, n. 255, maggio 2006, in
(34) Cfr. N. Ceresole, Caudillo, ejército, pueblo. La Venezuela del presidente Chávez, cit.
(35) Cfr. ibidem.
(36) Cfr. ibidem. (37) Cfr. Manuel Caballero, Bolivarismo e Fascismo, «Limes. Rivista italiana di geopolitica», n. cit., pp. 211-212.
(38) Cfr. Il patriarca e il parà, cit., p. 16. (39) Cfr. Venezuela. La Révolucion de Hugo Chavez, cit., pp. 18-21. (40) Cfr. ibid., p. 23.
(41) Cfr. Appendice, in Limes. Rivista italiana di geopolitica, n. cit., pp. 96-98. (42) Cfr. M. Caballero, Bolivarismo e Fascismo, cit., p. 123. (43) Cfr. Mauro De Bonis, Non solo sinistra. viaggio fra i castristi e i chavisti nostrani, in Limes. Rivista italiana di geopolitica, n. cit., pp. 94-97.
(44) Cfr. Il patriarca e il parà, cit., p. 12. (45) Cfr. Maurizio Stefanini, Le quattro Americhe, in Limes. Rivista italiana di geopolitica, n. cit., p. 83.
(46) Cfr. Il patriarca e il parà, cit., pp. 12-13. (47) Cfr. Presidentes de Venezuela e Irán anuncian lucha contra el imperialismo, in
(48) Cfr. Antonio Pasquali, Irán, el modelo, in
(49) Cfr. Ely Karmon, Hezbollah America Latina: Strange Group or Real Threat?, in
(52) Discorso di Chavez al Social Forum di Porto Alegre: El sur, norte de nuestros pueblos. Desde el gimnasio gigantinho. Porto Alegre. Brasil Domingo 30 de enero de 2005, in
(53) Discurso de Hugo Chávez en su toma de posesión, dell’11-1-2007, in Noticias Bolivarianas, in
(54) Cit. in Javier Biardeau, Los errores del estalinismo burocrático frente al Socialismo del Siglo XXI, in
(56) Cfr.
(58) Cfr. Empresas de Producción Social- Instrumento para el Socialismo del Siglo XXI, cit., pp. 101-103.
(59) Ibid., p. 91. (60) Cfr. ibid., pp. 117-118.
(61) Cit. in G. Coronel, Chavenomics: The Chavez answer to Milton Friedman, in
(62) Con una produzione di 2,8 milioni di barili al giorno (cfr. Il patriarca e il parà, cit., p. 19) il Venezuela è l’ottavo esportatore mondiale di greggio (cfr. Dan Restrepo, Agli USA conviene ignorare Chavez, in Limes. Rivista italiana di geopolitica, n. cit., p. 42) e le sue riserve petrolifere ammontano a circa 300 miliardi di barili di petrolio, le più estese del mondo, superiori anche a quelle dell’Arabia Saudita (cfr. Il patriarca e il parà, cit., p. 19).
(63) 150 miliardi di dollari come guadagno netto della vendita del petrolio, finanziamenti per 40 miliardi di dollari, per un totale di oltre 200 miliardi di dollari; cfr. G. Coronel, Corruption, mismanagement and abuse of power in Hugo Chavez’s Venezuela, in Development Policy Analysis, CATO Institute. Center for Global Liberty and Prosperity, Washington (DC) 27-11-2006, pp. 1-23 (p. 5), in
(64) Cfr. J. Guerra, El capitalismo de Estado en Venezuela, in
(65) Il presidente Chavez riprende il controllo politico della Pdvsa nel 2002; con la sostituzione della direzione aziendale, le strategie dell’impresa sono trasferite al governo, il ministro della Energia e Petrolio ne diviene il Presidente; cfr.
(66) La Pdvsa diviene proprietaria di aziende strategiche come la società telefonica Cantv (Compania Anonima Nacional Telefonos de Venezuela, parzialmente privatizzata nel 1991, di cui una quota minoritaria del 28,5% è in mano alla statunitense Verizon Communications), e di Electricidad de Caracas, controllata dalla statunitense Aes; cfr. J. Guerra, El capitalismo de Estado en Venezuela, cit.).
(67) Cfr. ibidem.
(68) A proposito della Banca Centrale Venezuelana (Bcv), Chavez ha di recente affermato che «[…] non può continuare ad essere autonoma» (cit. in Jorge Rossel, Chávez anuncia medidas radicales contra el capitalismo en Venezuela, in Noticias Bolivarianas, in
(69) Cfr. J. Guerra, El capitalismo de Estado en Venezuela, cit.
(70) Cfr. G. Coronel, Corruption, mismanagement and abuse of power in Hugo Chavez’s Venezuela, cit.
(71) Cfr. Venezuela: La Révolucion de Hugo Chavez, cit., p. 35.
(72) Cfr. ibid., p. 15.
(73) Cfr. ibidem.
(74) Cit. in Chavez en cadena nacional amenaza Globovision, in
(75) Cfr. Venezuela: La Révolucion de Hugo Chavez, cit., p. 5.
(76) Ibid., p. 15.
(77) Ibid., p. 1.
(78) Un esame della proposta è stato pubblicato dal quotidiano El Nacional il 28 ottobre 2007, a opera di Alirio Abreu, ex-magistrato della Corte Interamericana dei Diritti Umani, e di Carlos Ayala, ex-presidente della stessa; cfr. Venezuelan constitutional reform. A first evaluation of the impact of the 69 amendments to the 1999 constitution, in
(79) Cfr. Quiere otro referéndum para su reelección, entre los «problemas denudo» del pueblo, in
(80) Cfr. Cev, Urge el diálogo y la reconciliación en Venezuela. Exhortación pastoral LXXXVIII, Asamblea Ordinaria Plenaria, Lunes, 9 de julio de 2007, in
(81) Così chiamata perché apparsa a Coromoto, capo della tribù degli indios Cospes, a Guanare nel 1651 e nel 1652.
(82) Cfr. Chávez quiere sustituir una imagen de la Virgen de Coromoto por un busto del Che Guevara, in Moral y Luces. Noticias Religiosas y del Mundo, 19-8-2007, in
(83) Cfr. Llamados a vivir en libertad. Exhortación del episcopado venezolano sobre la propuesta de reforma constitucional, in <> (26-2-2008).
(84) Cfr. un suo profilo biografico in
(85) Cfr. A. Romero, Socialismo: fracaso y mito, ne El Nuevo País, Caracas, 23-1-2007, in
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